Intraprendere un percorso terapico richiede impegno e sforzi: è un banco di prova per ristabilire un proprio equilibrio oltre a rappresentare un importante investimento su sé stessi. Non tutto sarà agevole e molti aspetti richiedono un approccio accurato e volitivo. Se dovessero sorgere degli ostacoli, è necessario lavorarvi sopra condividendo con il professionista le sensazioni e le perplessità al fine di preservare ogni miglioramento e indirizzare le azioni nella direzione più giusta.
La terapia è di base un modo anche gratificante per setacciare il bagaglio emotivo ma al contempo implica vulnerabilità: immergersi in alcuni argomenti e sentimenti piuttosto oscuri può sfociare in atteggiamenti auto-sabotanti che interferiscono con i progressi.
Questo in generale accade se siamo consapevoli e riconosciamo eventuali intoppi: ma come possiamo capire che qualcosa non va? Gli esperti parlano di “red flag” ovvero bandierine rosse, dei segnali d’allarme che vanno esaminati e per i quali è comunque prevista una soluzione.
La terapia è uno spazio in cui ricevere indicazioni su come affrontare i problemi e apportare cambiamenti importanti: ha lo scopo mettere in condizione il paziente di fare queste cose da solo. Uno dei motivi per cui le persone possono diventare eccessivamente dipendenti dalle loro sessioni è che hanno perso la fiducia in sé stesse e credono che una fonte esterna avrà tutte le risposte. Se i problemi sorgono tra le sessioni è necessario riprendere in considerazione quanto emerso nell’appuntamento più recente perché può aiutare a superare i vecchi schemi in cui si bloccati e ricostruire la fiducia. Eventuali aree critiche possono essere sollevate nelle sessioni successive, momento in cui è possibile creare ed eseguire azioni per affrontarle.
È fondamentale non nascondere informazioni importanti al terapista: eventi passati che per noi sembrano ininfluenti o non legati al problema che ci ha portati in terapia potrebbero essere rilevanti. I terapeuti non hanno necessariamente bisogno di conoscere tutti i dettagli ma è importante per loro considerare le parti essenziali: questo perché eventuali interventi o esercizi potrebbero non essere adatti al problema.
Se c’è un disagio ad aprirsi su certe cose, condividere ciò con il terapeuta può essere un ottimo punto di partenza per un percorso sicuro e chiaro.
Non fornire prontamente un feedback su qualcosa che ci scuote o genera disagio diventa un boomerang. La soluzione sta nel comprendere se è il tipo di comunicazione che non ci rende tranquilli, dal momento che potrebbe esserci un legame con le abitudini schematiche del dialogo: rimane fondamentale trovarsi in sintonia con il terapeuta perché, se si notano difficoltà nel far recepire i messaggi o nel dialogo, potremmo essere nel posto sbagliato con la persona che non fornisce le dovute garanzie d’ascolto.
Può accadere, è umano, di arrivare in ritardo o avere contrattempi soprattutto per spostamenti che richiedono tempo. Se però questa situazione si verifica troppo frequentemente, sfociando in forfait, allora occorre fermarsi un attimo e riflettere: o c’è un problema di organizzazione (e servirà lavorare su di esso) o manca una disciplina emotiva che può diventare tema di una seduta. Rendere il tuo terapista consapevole di quanto siano intense le sessioni per te dà lui la possibilità di ridimensionare le attività.
Non riuscire ad applicare le abilità apprese in terapia alla tua routine quotidiana è di solito il risultato di convinzioni disfunzionali: l’obiettivo va raggiunto iniziando a testare quanto ricevuto in terapia. Occorre anche sbagliare, tarare, cercare un equilibrio e trovare una nuova zona di comfort. Sperimentare è prezioso.
La terapia è un luogo salutare per sfogare le tue frustrazioni sui problemi con cui stai lottando, ma è solo una parte di un processo molto più ampio. Bisogna sempre tenere a mente perché seguiamo un percorso, cosa ci ha portato a sostenere le sedute, quali obiettivi abbiamo e cosa vogliamo: la risposta è sicuramente quella di volersi sentire meglio e ciò deve alimentare le nostre azioni fornendo le giuste motivazioni.
Il terapeuta non ha la sfera di cristallo: non può sapere cosa nascondi o eviti di dire. Le omissioni possono incidere negativamente sugli interventi. Non bisogna pensare che siano dettagli o elementi marginali: non si viene giudicati per un racconto o un aspetto. Tutto può servire a ricomporre un quadro che merita la giusta completezza.
L’uso di sostanze è molto diffuso nella società e non ne sono esenti i pazienti che seguono le terapie. Il primo passo per capire quando sia opportuno usarle è sicuramente quello di aprirsi al terapeuta esponendo la tematica: di norma, è sconsigliato assumerle a ridosso della sessione. Se si è troppo dipendenti, il terapista può indicare un piano di riferimento per gestire le ricadute e trovare una via d’uscita.
Le persone spesso fanno di tutto per evitare ricordi forti e dolorosi: è una forma umana di autodifesa. C’è chi evita, chi sopprime le sensazioni che ne derivano o addirittura nega, rimugina. La terapia è l’ambito nel quale alcuni tormenti possono portare ad un’analisi: chi ci segue è lì per fornirci gli strumenti per capire come affrontare eventi dolorosi e quanto ne scaturisce. Le sessioni sono un’occasione di crescita sotto questo punto di vista perché aiutano a modulare e affrontare un episodio negativo con un atteggiamento diverso.
È compito del terapista mettere alla prova e sottolineare i modelli che potrebbero ostacolare la crescita del paziente: spesso la reazione, alquanto istintiva, è quella di deviare, rispondere a tono o arrabbiarsi. Questo è solo un ulteriore banco di prova per spronare e creare un meccanismo di re-azione che deve innescare un circolo virtuoso di osservazione, analisi interiore e delle conseguenze del nostro gesto, tenendo a bada i sentimenti negativi. Si costruisce così uno schema che in futuro potrebbe essere vincente.
Quando ci si sente arrabbiati, l'esagerazione può essere un modo per comunicare quanto si viva in modo negativo: i terapeuti riscontrano questo nei pazienti che accusano il prossimo di ignorare o trascurare le emozioni. Ciò porta ad una invalidazione di sé stessi: serve a questo punto chiedere aiuto esponendo al terapeuta ciò che ci si aspetta in un momento simile (se ascolto o comprensione).
La convalida è una parte importante della terapia: il terapeuta evidenzia i punti di forza del paziente, lo aiuta a riconoscere i progressi e la crescita ottenuti al fine di aiutarlo ad imparare a fidarsi di sé stesso. Il test sul paziente prevede che testimoni come si sente quando accadono eventi positivi: se emerge del disagio, questo potrebbe essere un segno si fa troppo affidamento sulla terapia per la convalida esterna. Se si nota ciò, è il caso di parlane con il terapeuta per esplorare le ragioni alla base di questo schema: si potrà così lavorare per attivare un processo più sano e benefico.
Il legame con il terapeuta è di fiducia e sicurezza, ma è anche difficile da definire. Non è familiare, non è un'amicizia o una relazione affettiva. L’approccio, umanamente comprensibile, tende ad inquadrarlo come una connessione a noi nota, quasi confidenziale ma questo comporta confusione o aspettative che alterano il senso del nostro percorso. La sessione di terapia non deve essere l’unico momento di rottura con la normalità. Gli incontri servono a migliorare e continuare un percorso ma i nostri giorni devono essere caratterizzati da momenti da passare con gli altri e attività da svolgere.
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