Come la psicologia positiva può migliorare la crescita dei dipendenti

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Da sempre ognuno di noi prova a rispondere a un quesito fondamentale per la propria esistenza: “Che cosa significa vivere una vita degna di essere vissuta?”

Nei secoli, filosofi, artisti e pensatori hanno cercato di capire e comprendere il senso di questa domanda e cercare anche le risposte esatte. Non poteva esimersi la psicologia, in particolare per quella “positiva” che negli ultimi decenni è intervenuta analizzando e proponendo al contempo una visione condita da azioni e focus definiti.

Tra i contributi degni di nota è sicuramente rilevante quello di Martin Seligman, già presidente dell'American Psychological Association, il quale, con il suo collaboratore Mihaly Csikszentmihalyi, definì la psicologia positiva come "lo studio scientifico del funzionamento umano positivo e fiorente su più livelli che includono le dimensioni della vita biologica, personale, relazionale, istituzionale, culturale e globale".

Se pensiamo alla psicologia tradizionale come la scienza orientata ad aiutare le persone nel superare i loro problemi di salute mentale al fine di migliorare il loro funzionamento, la psicologia positiva mira nello specifico a responsabilizzare gli individui non solo per raggiungere la funzionalità, ma per prosperare, migliorare, completarsi.

Una delle chiavi per avvalersi di un’impronta positiva è sicuramente nello switch tra due: non bisogna partire da “Cosa non va nelle persone?” ma individuare “Cosa c'è che va bene nelle persone? Come possiamo amplificarlo?”.

Questo approccio indica chiaramente che possiamo applicare i principi della psicologia positiva a tutti gli aspetti della vita, compreso il posto di lavoro. Proprio come c'è differenza tra sopravvivere e vivere una vita migliore, c'è differenza tra fare semplicemente il proprio lavoro e prosperare sul lavoro (non solo professionalmente ma umanamente e psicologicamente).

Ad esempio, un datore di lavoro può ricorrere a concetti psicologici positivi per aiutare i dipendenti nel rafforzare il loro senso di benessere, il che, a sua volta, porterà a benefici misurabili per l’azienda e l’ambiente lavorativo. Devono essere chiaramente input su obiettivi stimolanti, raggiungibili e non finalizzati ad un indicatore meramente economico o di competizione interna.

Il miglioramento emotivo del dipendente e dell’atmosfera che si respira sul luogo di lavoro ha sicuramente vantaggio che si tramutano in un aumento di produttività, più spazio alla creatività o intraprendenza, incremento del coinvolgimento e della considerazione come unità di personale e come gruppo di lavoro.

Molti studi hanno analizzato come questi fattori incidano giovando alla realtà aziendale:

coinvolgere e stimolare diminuisce le assenze, aumenta il rendimento conducendo quasi automaticamente all’incremento economico e finanziario.

Prosperare deve essere però un processo a tutto tondo poiché va garantito al dipendente il giusto equilibrio tra un posto di lavoro stimolante e una vita privata che non sia erosa dagli impegni professionali.

Spesso invece molti contesti lavorativi sono minacciati e intossicati da meccanismi nocivi: scarico di responsabilità, egoismo, comunicazione assente o precaria. Un ambiente simile non presenta le condizioni ideali anche se il singolo può iniziare ad agire con le proprie abilità per evitare di subire eventuali influssi negativi: dialogo e skills individuali possono rompere questa catena di difficoltà facendo leva sulle proprie capacità interpersonali e sviluppando competenze quali:

  • la gestione di pensieri ed emozioni;
  • lo sviluppo di confini sani;
  • la comunicazione delle esigenze;
  • la chiarezza nelle richieste;
  • la creazione e ricerca di uno scopo;
  • lo sfruttamento dei propri punti di forza;
  • la fiducia in sé stessi quando si prendono delle decisioni;
  • l’espressione della propria concezione di leadership.

Se ciò non è possibile e sul lavoro si vive un clima ostile, il motivo è semplice: prevalgono le “3 C” individuate da Grizont in “Work Happiness Method”. Questi elementi corrispondono a complainng, ciritcism e comparison ovvero lamentarsi, criticare e competere. L’autore le definisce come trappole, dei tipi di pensieri o comportamenti dannosi che tendono a soffocare la positività nelle menti.

Lamentarsi

Spesso siamo infastiditi dalle continue lamentele degli altri, ma la maggior parte di noi ha difficoltà a notare quando ci si lamenta in prima persona: in ogni caso si innescano dei pregiudizi di negatività poiché ci si concentra su cose ritenute sbagliate o minacciose. Secondo Grizont “lamentarsi ci rende vittime, piuttosto che risolutori di problemi che possono adottare misure positive per migliorare le nostre situazioni".
Una delle soluzioni più opportune sta nel riunire il gruppo di lavoro e stabilire una sorta di tregua: una settimana senza alcun tipo di lamentela al fine di rendere tutti consapevoli dei propri pensieri e portare a riformulare le affermazioni in termini neutri. Se questo atteggiamento non è stato minato ed è stato caratterizzato dal giusto spirito, ogni lavoratore avrà avuto modo di concentrarsi sulle cose da apprezzare e valorizzare più che su quelle che creano disagio o fastidio. In poche parole, gratitudine e fortuna da miscelare per trovare spunti felici ogni volta che si è impegnati professionalmente.

Criticare

La critica è una forma di disapprovazione per una colpa percepita. Tutte le critiche, in particolare l'autocritica, non sono necessariamente collegate alla realtà. Martin Seligman ha coniato il termine "impotenza appresa", riferendosi a un senso di impotenza che nasce da un persistente fallimento nel riuscire in qualcosa.

L'impotenza appresa è una profezia che si autoavvera.

Si matura la convinzione che è colpa nostra quando non riusciamo ad avere successo, trovando come causa l’inadeguatezza personale e che non si è in grado di raggiungere i propri obiettivi: questa mentalità, di conseguenza, ci rende incapaci di raggiungere i nostri obiettivi. Non ottenere qualcosa può portare al disinteresse per ciò che si fa, ponendo le basi marce della mancanza di impegno e di amore verso il proprio lavoro.

Bisogna agire sul versante opposto passando dall'impotenza appresa all'ottimismo appreso.

È possibile cambiare il modo in cui vediamo il mondo affinché le esperienze negative e le battute d'arresto non siano sempre colpa nostra o imputabili a qualcosa che ci vede come “carnefici”.

L’ottimismo appreso va sviluppato su questi assi:

  • se c’è un insuccesso, non è un fallimento personale ma può essere sfortuna o il verificarsi di condizioni avverse;
  • imparare a vedere le battute d'arresto per quello che sono: dossi temporanei sulla propria strada, non muri invalicabili;
  • resistere all'impulso di trarre conclusioni su altri aspetti della propria vita da singole battute d'arresto in aree specifiche. Una difficoltà sul lavoro o un momento di insuccesso non intaccano il proprio valore complessivo come persone, amico o partner.

Competere

La competizione con gli altri può essere utile per stabilire degli obiettivi ma non deve trasformarsi in qualcosa di morboso: un conto è confrontarsi o paragonarsi, un conto è innescare dei meccanismi e delle dinamiche malsane.

Per evitare di rimanere intrappolati in una spirale negativa è opportuno avere chiari obiettivi e aspirazioni senza vedere per forza l’altro come esempio: ognuno ha il suo percorso e il suo atteggiamento per raggiungere qualcosa può partire da un punto diverso e materializzarsi con un cammino differente. Deve orientarci la visione personale, non il “rivale” o il personaggio pubblico amato.

Grizont al riguardo consiglia un esercizio definito "generatore di visione" con il quale si incoraggiano i partecipanti a immaginare di trovarsi all’improvviso nel futuro, tra cinque anni, con tutti i loro desideri e obiettivi realizzati.

Cosa significherebbe per il loro lavoro, le loro finanze, le loro relazioni? Quali sfide sono state superate, cosa ha contribuito a raggiungere il senso di appagamento? Come è avvenuto il processo di cambiamento e trasformazione?

 

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  • Iscritto all'Ordine degli Psicologi del Lazio nella Sez. Psicoterapeuti col N. 13304

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