L’anoressia nervosa si manifesta di frequente con la tendenza dell’individuo che ne soffre nel voler mantenere sempre più basso il proprio peso corporeo spesso evitando di mangiare la giusta dose di pietanze. Ci troviamo davanti a un disturbo alimentare che al contempo trascina con sé un potenziale problema di salute mentale. Chi soffre di anoressia ha spesso un'intensa paura di aumentare di peso e può avere una visione distorta del proprio corpo, pensando di essere grasso anche quando si è nella norma o addirittura sottopeso.
Le persone pensano che l'anoressia riguardi la dieta, ma il discorso è più complesso e articolato: c’è un legame con la bassa autostima, con l'immagine negativa del corpo e intervengono molti altri fattori.
Chiunque può essere colpito dall'anoressia. Sebbene sia più comunemente segnalata tra le giovani donne, l'anoressia viene segnalata con una certa frequenza anche in uomini e ragazzi, arrivando a colpire anche donne di età superiore ai 40 anni e bambini di di 6-7 anni.
Tra i principali sintomi dell’anoressia troviamo: la paura di ingrassare o di essere grasso; forte preoccupazione per il proprio peso; l’incapacità di pensare ad altro che al cibo; dismorfia, ovvero visione distorta del corpo (lo si vede più grande o di forma diversa da come è realmente); si incorre in stati ansiosi, soprattutto al momento dei pasti; si ravvisa una grande mancanza di fiducia e autostima; si diventa irritabili e lunatici; si va verso standard alti per sé stessi cedendo a manie di perfezionismo. A rincarare la dose, l’incapacità di sottovalutare o negare di avere un problema, anche dopo che vi è stata una diagnosi.
A livello fisico invece l’anoressia si manifesta con: perdita di peso; mancanza di interesse sessuale; difficoltà a dormire; vertigini; la perdita di capelli; costipazione, gonfiore e dolori di stomaco; sensazioni frequenti di freddo e debolezza; lanugine diffusa sul corpo; difficoltà di concentrazione; bassa pressione sanguigna; interruzione o irregolarità del ciclo mestruale nelle donne.
viene ridotta l’assunzione di cibo smettendo di mangiare del tutto o alterando la regolarità (si salta uno o più pasti); si passa molto tempo a contare le calorie; si evita il cibo che ipoteticamente può portare all’aumento di peso; si nasconde il cibo o lo si butta via; si tagliano o si riducono in piccoli pezzi le pietanze per rendere meno evidente che non si ha mangiato molto o per deglutire in modo più agevole; si sviluppano regole e rituali intorno al mangiare, come elencare cibi "buoni" e "cattivi"; i pasti vengono consumati molto lentamente; si aumenta l’impegno fisico con gli esercizi; si assumono pillole per la riduzione dell'appetito o per l’accelerazione del metabolismo; si usano lassativi; si evitano i contatti sociali isolandosi volontariamente dagli altri (nasce così una zona di comfort nociva e controproducente). In questo ultimo caso, è frequente trovarsi davanti a continue bugie su ciò che si mangia, trovando scuse sul motivo per cui non si mangi o fingendo di averlo fatto in precedenza; infine, si mente spesso sul peso perso.
Non è semplice individuare una causa principale dell’anoressia ma potrebbero essercene molteplici. Vi sono sicuramente dei tratti comuni: bassa autostima, sentirsi inutile o mai all’altezza (perdere peso può iniziare a dare un senso di realizzazione o rappresenta un modo per provare un senso di valore), manie di perfezionismo; coesistenza di depressione, autolesionismo e ansia; incapacità di gestire lo stress e nell’affrontare la quotidianità; comportamenti ossessivi o compulsivi.
Molto spesso è forte anche la pressione sociale e culturale percepita o subìta in questo caso: la società dà molta importanza all'immagine del corpo, il che significa che ci viene costantemente detto che il nostro aspetto riflette il nostro valore creando così un immaginario che, se elaborato in modo negativo, può sfociare in senso di vergogna, di non accettazione del proprio corpo poiché si presume di dover inseguire in modello di un "bel corpo" che diventa ricerca ossessiva e per la quale si adegua ogni comportamento.
Sebbene queste pressioni non causino direttamente disturbi alimentari, possono però alterare l’autostima portando alla convinzione che non si è abbastanza bravi o influenzandola negativamente. Questo può innescare un disturbo alimentare in persone già vulnerabili a svilupparne uno e potranno adeguare le abitudini con i pasti con rischi sempre più forti per l’integrità fisica e mentale.
Molti studi inoltre evidenziano l’esistenza di collegamenti di fattori genetici e biologici con l'anoressia. Le sostanze chimiche del nostro cervello che controllano la nostra fame, l'appetito e la digestione possono anche renderci più inclini a sviluppare l'anoressia: se queste sono troppo presenti o vengono rilevate in bassa quantità o se ne siamo particolarmente sensibili, il nostro appetito e il nostro umore possono risentirne.
Se si ravvisano molti dei fattori elencati o se alcuni comportamenti sono riconducibili a quelli affrontati, è necessario rivolgersi ad un terapeuta o comunque chiedere un aiuto esterno. Spesso il primo step più opportuno consiste nelle terapie verbali utili a identificare i sentimenti e le paure che hanno scatenato l’anoressia e aiutare a sviluppare un atteggiamento più sano nei confronti del cibo e del proprio corpo.
1) terapia analitica cognitiva (CAT), consiste nell’esaminare le esperienze e gli eventi passati per cercare di capire perché si pensa, si sente e si adotta un certo comportamento. Il terapeuta avrà il compito di individuare e sviluppare nuovi strumenti per far fronte alle criticità in modo più sano;
2) terapia cognitivo comportamentale (CBT), si concentra sull'identificazione e la modifica dei pensieri e delle convinzioni che possono scatenare l’anoressia. Il terapeuta interviene spesso spiegando alcuni meccanismi e modificandone alcuni, i più pericolosi e disordinati come "tutti pensano che io sia grasso".
Come accennato in precedenza, l’anoressia sta colpendo spesso anche fasce d’età in passato ritenute immuni o non soggette a problematiche simili. Parliamo quindi di età infantile per la quale è opportuno l’approccio “Maudsley” che prevede la presenza e il coinvolgimento dei genitori che assumono un ruolo attivo nell'aiutare a riportare il peso del loro bambino a un livello normale al fine di restituirgli il controllo delle scelte alimentari e incoraggiandolo a sviluppare una sana indipendenza.
Nel corso del trattamento, alcuni casi potrebbero richiedere l’utilizzo di antidepressivi che in sostanza non devono mai essere la soluzione principale né l’unica via di uscita. In situazioni più serie è frequente il trattamento ospedaliero, in particolare per soggetti con peso molto basso e che allargano anche le competenze in termini di intervento (vengono coinvolti per esempio il dietologo e un team di salute mentale).
prendersi cura di sé stessi è importante ed è un esercizio di vita continuo, una scommessa antropologica che ogni individuo affronta giorno dopo giorno ma alcuni problemi meritano una giusta analisi e devono essere identificati per quello che sono. Sono di grande aiuto alcuni gruppi di supporto e ascolto così come rivestono un’efficacia interessante i confronti e i dialoghi con persone che hanno avuto problemi simili poiché le loro esperienze potrebbero fornire un valido aiuto motivando sé stessi alla ricerca di un equilibrio sano e duraturo.
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