Tra i fenomeni più diffusi attualmente nella nostra società c'è sicuramente l'ansia, che talvolta sfocia in momenti molto acuti come gli attacchi di panico.
La maggior parte delle persone che ho incontrato nella mia professione come anche nella vita privata, raccontano di vivere spesso la propria vita come se fosse un tunnel scuro dal quale è difficile uscire e che caratterizza anche quelle che dovrebbero essere invece le situazioni piacevoli dell'esistenza. L'ansia è una compagna che sembra non abbandonarci mai, una volta conosciuta.
In realtà l'ansia è, sì, una compagna di vita per certi aspetti, ma non la si conosce veramente fino in fondo. Nel senso che, producendo quello sgradevolissimo senso di invadenza che sembra incontrollabile, cerchiamo sempre in tutti i modi di allontanarla da noi senza ascoltarla, senza che il contenuto del messaggio che ci sta portando venga effettivamente recepito.
ci avvisa che qualcosa non va nella nostra vita, che l'organismo nel suo complesso adattamento alla vita sta soffrendo per qualche motivo e che quel motivo è fuori dalla nostra attenzione.
A differenza della paura, emozione che tutti proviamo di fronte a un pericolo percepito e che svolge una funzione essenziale per la sopravvivenza di ciascuno di noi, l'ansia è una paura senza oggetto, in un circolo vizioso che si autorigenera proprio quando ci chiediamo "perchè sto in ansia?"
Questo circolo vizioso, innescato da tutti i pensieri che facciamo nel tentativo di giustificare l'ansia, spesso finiscono per generare anche dei picchi di angoscia, dove le ripercussioni a livello psicofisiologico (battito cardiaco, respirazione, sudorazione ecc.) diventano intollerabili e il tempo vissuto sembra praticamente infinito.
Gli attacchi di panico che, a differenza dell'ansia, spesso possono arrivare anche in modo del tutto inaspettato, sono manifestazioni caratterizzate dalla non gestibilità, nel senso che la persona vive una crisi emozionale che pensa possa non avere fine sul momento e che lo porti verso un precipizio di sofferenza senza speranza. Uno dei sentimenti che spesso accompagna questi interminabili momenti è anche la vergogna, data dalla situazione emergenziale percepita senza una via d'uscita e dalla senzazione di non poter essere aiutati da nessuno.
Il vissuto interno è talmente intenso che stacca la persona dal mondo circostante, impedendogli di fatto un contatto con l'altro da sé. La vergogna diventa così la barriera a quel contatto, contribuendo ad accelerare psicofiologicamente le sensazioni di angoscia intollerabili. È come un vortice che sembra senza fine.
In realtà, quello che succede sempre è esattamente l'opposto: l'angoscia ha un termine fisiologico (nessuna emozione o fenomeno psichico ha durata eterna, lascia sempre il posto prima o poi ad un'altra emozione) che spesso però lascia la persona completamente privo di energie esistenziali e di speranze nel futuro. Ma la consapevolezza di questo, cioè del fatto che il panico abbia un termine in ogni caso, in genere non porta molto sollievo alle persone se non riescono a mettere l'attenzione sullo sfondo esistenziale dal quale il panico stesso è potuto emergere. Ed è qui che interviene la relazione terapeutica che, oltre a favorire tecniche finalizzate a prevenire e ammorbidire le manifestazioni più violente dell'angoscia (un pò come farebbero i farmaci ma con l'elaborazione verbale), cerca di illuminare lo sfondo che le genera nel tentativo di cambiare l'assetto emozionale della persona e sviluppare le risorse individuali necessarie a migliorare la qualità della vita nel suo complesso. Una persona soddisfatta di se stessa difficilmente si rende preda dell'angoscia incontrollabile perchè sa dove appoggiarsi nei momenti di difficoltà esistenziali. Luoghi interni sicuri e relazioni esterne amorevoli. Di fatto è la solitudine percepita e autoimposta molto spesso a generare le condizioni necessarie affinchè l'ansia e l'angoscia prendano il sopravvento sulla vita quotidiana.
La società della performance nella quale viviamo, infine, è la fonte principale di quello che abitualmente chiamiamo stress.
Aspettative interne ed esterne infatti sono la causa principale di frustrazioni difficili da sopportare e con le quali spesso facciamo i conti in quella che possiamo definire una quotidianità stressante. Le aspettative interne sono quelle connesse con l'immagine che abbiamo di noi stessi e con gli obiettivi che ci autoimponiamo alla ricerca di un successo atteso, come se la nostra felicità passasse obbligatoriamente da questo: il successo appunto, inteso non come la fama, ma come il raggiungimento di una meta.
Lo stress, inoltre, deriva molto spesso da una sensazione di perdita di controllo. Controllo sugli avvenimenti della vita, sulle aspettative e sui risultati attesi. Lo psicoterapeuta, attraverso un lavoro sul profondo o, nel breve, anche una consulenza e un sostegno psicologico, aiutano a rimodulare e riconfiguare tali aspettative nell'ottica di aumentare la qualità della vita a prescindere dai risultati attesi, rileggere gli obiettivi in termini di desiderio, modificare le strategie comportamentali abituali per non chiudersi nel circuito chiuso del successo/insuccesso, e aiutare la persona a non identificarsi con i propri vissuti collegati allo stress, ma a espandere la consapevolezza del proprio vissuto a ciò che di meraviglioso e amorevole comporta il vivere svincolato dalla logica della performance.
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